IL TG5 CENSURA E IL SINDACATO ACCONSENTE

9b9bd2b847b077d5373570850b594424.jpgSPAZZA la notizia IL TG5 CENSURA E IL SINDACATO ACCONSENTE
Per il secondo tg nazionale la condanna Ue dell’Italia per le frequenze di Rete4 non merita una parola. E’ l’informazione asservita al potere. E l’Ordine dei giornalisti che dice? «Il fatto non ci riguarda»
Franco Giustolisi

Due sporche vicende. Una più lurida dell’altra. Eccole. La prima. Il 31 gennaio la Corte europea di giustizia condanna l’Italia per aver concesso le frequenze televisive a Rete 4, quella diretta da Emilio Fede e di proprietà dell’attuale presidente del Consiglio, invece che ad Europa 7, emittente televisiva che a suo tempo aveva vinto una specie di concorso. E sin qui siamo ai fatti noti.
La notizia, una grande notizia perché c’è di mezzo una sentenza della Corte Costituzionale che aveva condannato Rete 4, il conflitto di interessi, la legge del fidatissimo berlusconiano Gasparri e il tentativo del governo Prodi di rivederla – trova, come è naturale, immediata accoglienza sull’informazione. I grandi quotidiani la piazzano nell’apertura delle relative pagine, Rai Tre la inserisce nei titoli di apertura, Rai Uno le dedica un esauriente servizio eccetera, eccetera. Il Tg5, quello diretto da Clemente e qualcosa Mimun, lo stesso che dopo la vittoria del suo dio ha espresso la volontà di tornare in Rai per dirigere il Tg2, invece tace. Non una riga, non una parola, non una virgola. Se la notizia non c’è, mi arrischio a sostenere che così direbbe anche McLuhan, il massimo esperto mondiale di comunicazioni, se la notizia non c’è, non viene data, non c’è notizia. Non so cosa ci sia stato dietro, non so, cioè se Mimun si sia consultato con Confalonieri o con il gradino superiore. Il fatto indiscutibile è che il Tg5 che arriva secondo come ascolto, dopo il Tg1, e qualche volta si vanta di essere al contrario il primo, non dice che il suo padrone è stato battuto. Non da qualche magistrato di casa nostra, magari additato come comunista, bensì dalla giustizia europea. E questo con parole talmente chiare e semplici che non è neanche il caso di stare a riportarle. Come talmente chiaro e semplice è il concetto che l’informazione, sia quella con la I maiuscola che quella con la i minuscola, non può, non deve essere soggetta, e in questo modo che definisco globale, agli interessi di parte. Magari si dà la notizia, non in grandissima evidenza, poi il sottopancia di turno commenterà a piacer suo e di chi lo paga.
Ho sulle spalle mezzo secolo di giornalismo e qualche censura l’ho vista e ne ho subite anch’io, denunciandole in ogni occasione. Ma quell’indecente nonessere del Tg5 non l’ho mai constatato, nè al Giorno, quello vero degli anni ’50 e ’60, nè in Rai, a Tv7, dove per certe storie fui recluso in quello che allora veniva definito il cimitero degli elefanti, nè tantomeno, all’Espresso, perlomeno sino a qualche anno fa, ma avevo già tolto il disturbo. Preso allora da sacro furore mi rivolgo a quello che ritenevo il naturale interlocutore di chi chiede, vuole, esige giustizia nell’informazione. «Liberazione», in un impeto di fesseria, se n’è uscita con un chi se ne frega di Rete4. E no, egregi colleghi, ammesso che tali possiate essere definiti: se ce ne fregassimo di simili vicende salterebbe la già assai fragilissima impalcatura che tra schianti continui ancora sorregge l’informazione. Non avete ancora capito che la monnezza, gli impianti nucleari, la mezza abolizione dell’Ici, eccetera sono materie più importanti, ma se l’informazione non ne parla o ne parla male, ecco che tutti quei problemi spariscono.
Ed ecco la seconda sporca vicenda, più sporca, se possibile delle prima, perché se uno schiavo inchina la sua testa a pro padrone, beh se non si giustifica, quanto meno lo si comprende. Ma chi non ha o non dovrebbe avere padroni? Che, anzi, istituzionalmente dovrebbe tutelare l’informazione, e cosa, se no? Parlo dell’Ordine regionale dei giornalisti, quello che ritenevo, allora, il naturale interlocutore e via dicendo. A ruota, il primo febbraio, invio a questi eminenti colleghi la mia denuncia nella quale propongo di cacciare, non scrissi a calci, ma il senso era questo, dall’«onorata» società di coloro che scrivono per mestiere, e soprattutto per passione, quel tale Mimun. E con lui, i suoi eventuali condirettori e vice, il conduttore che quella sera con la sua presenza ha avallato la gigantesca omissione, nonché i membri del comitato di redazione che non erano intervenuti, come sarebbe stato loro dovere. Invito anche i miei autorevoli colleghi ad indagare se Rete4 e Italia1 si sono comportati nello stesso modo del loro fratello maggiore, il Tg5. Si sa, essendo dello stesso proprietario… Attendo la risposta con una certa trepidazione. Mi arriverà il 18 febbraio, con una raccomandata a firma del presidente Bruno Tucci, il quale con modi cordiali e cortesi mi avverte che «il problema non è di competenza dell’Ordine in quanto l’articolo 6 del Contratto di lavoro prevede alcune specificità che esulano da qualsiasi potere di controllo».
Mi si dice, inoltre, che «trattandosi di materia prettamente sindacale» il mio esposto è stato mandato all’attenzione dei probiviri dell’Associazione Stampa Romana. Prendo atto ed attendo la risposta che mi arriverà con tutto comodo il 14 aprile, sempre con raccomandata a firma del presidente dell’Associazione Stampa Romana, Fabio Morabito che a sua volta mi invia il verbale dei probiviri e delle probedonne a firma della presidentessa del consesso, Liliana Madeo, e del segretario Raul Wittenberg. Ebbene, all’unanimità, quei tali e quelle tali, richiamandosi all’articolo 6, dichiarano la propria incompetenza, dato che «non è stato ravvisato nelle scelte del direttore Mimun sulla gerarchia delle notizie le violazioni della correttezza professionale…». Mi sono andato a leggere questo maledetto articolo 6. Dice nella sostanza: «le facoltà del direttore sono determinate da accordi da stipularsi tra lui e l’editore… in ogni caso da non risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica…».
Allora, spiegatemi: l’omissione delle notizie non gradite, fa parte degli accordi editore-direttore o delle norme sull’ordinamento della professione giornalistica? Evidentemente no. Quindi? Non penso che ordinovisti e probiviri siano tutti soggetti al potere, mi auguro che qualcuno non lo sia. Ma, evidentemente tutti (quelle decisioni come ho scritto prima, sono state prese all’unanimità) sono soggetti legati, drogati da un vincolo secolare in quanto nei fatti il direttore non è un primus pares come viene detto con stile elegante e falso, bensì un primus impares. Per questo sostengo da sempre, ma il discorso andrà approfondito in altra occasione, che parlare di riforma della Rai è un falso problema, quel che conta è fare la rivoluzione del giornalismo.
Però, dato che sono di capoccia dura ho fatto l’ulteriore passo rivolgendomi alla suprema Corte di Cassazione, come si può ritenere l’Ordine nazionale dei giornalisti. In un ricorso, si può definire così?, lungo un paio di cartelle racconto la storia, con questo esordio: «E’ avvenuto qualcosa che è profondamente lesivo del concetto di informazione e della stessa identità di chi fa la nostra professione. E che, oltretutto, è di sporco consiglio alle nuove leve, quello di abbassare sempre e comunque la testa». Ma la «Cassazione» giornalistica mi farà sapere immediatamente, sempre per raccomandata, che «non le è consentito esprimere valutazioni di merito». Il tutto accompagnato da un bigliettino, forse involontariamente ironico, del segretario Enzo Iacopini «caro Franco, la legge è la legge». Sarà. Ma, al dunque, che ci stanno a fare? Però non bisogna dar retta al qualunquista Grillo che vuole l’abolizione dell’Ordine. No, ci deve essere, e come, ma va riformato, rifatto, restaurato, quanto meno nella mentalità per evitare che l’informazione sia al servizio del potere.

IL TG5 CENSURA E IL SINDACATO ACCONSENTEultima modifica: 2008-06-09T09:48:08+02:00da ggiurata
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