MOBBING

Detto e ripetuto

di Anna Teresa Paciotti


 

Cause perse che si potevano vincere. Lo abbiamo sottolineato varie volte : attenzione a prospettare i motivi di ricorso. Ci troviamo, infatti, dinanzi a un caso di dequalificazione professionale. Il caso riguarda un dipendente dell’Enel, il quale conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Società, esponendo di essere stato dipendente dell’Enel inizialmente come impiegato e quindi come quadro, addetto al contenzioso e alla consulenza legale. Il dipendente veniva licenziato per superamento del periodo di comporto per malattia. Ora, lo stesso dipendente deduceva l’illegittimità del recesso, essendo stata la malattia causata dal comportamento del datore di lavoro, per cui reclamava il risarcimento del danno da trasferimento illegittimo, il risarcimento del danno biologico derivato dalle continue vessazioni cui era stato sottoposto, il risarcimento del danno da demansionamento e dequalificazione, del danno esistenziale, danno all’immagine personale e professionale, il risarcimento del danno morale o non patrimoniale per le ipotesi di reato ravvisabili nelle suddette vicende e per le molestie morali, gli abusi di ufficio subiti e i comportamenti illeciti deliberatamente rivolti contro di lui, il risarcimento del danno per i trattamenti terapeutici, i ricoveri e altre spese mediche. Il Tribunale, in parziale accoglimeto della domanda, riconosceva il danno da demansionamento. Ma la Corte di Appello riformava la sentenza osservando che nel merito non risultava provato il danno da trasferimento illegittimo e non sussisteva neppure la dequalificazione professionale o demansionamento, in quanto la scelta di impiegare legali esterni o interni appartiene alla discrezionalità dell’imprenditore. Ad avviso del giuce di appo, inoltre, non vi era prova del mobbing, non risultando anzitutto un intento comune dolosamente preordinato a ledere la dignità del dipendente. Avverso la sentenza di appello, il dipendente ha promosso ricorso per Cassazione. La Suprema Corte si è pronunciata con la Sentenza n. 11601/2008, rigettando il ricorso. Perché ? Perché il ricorso è stato male impostato, per cui la Corte non poteva che pronunciarsi in tal senso. La Corte, infatti ha ribadito il principio secondo il quale ogni motivo di ricorso debba contenere, ovvero si debba concludere, con una richiesta di affermazione del principio di diritto. Ove sia denunciato un vizio di motivazione, il motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Il tutto a pena di inammissibilità. Ora, le censure proposte dal ricorrente si traducono in motivazione in fatto, a proposito delle quali il ricorrente medesimo contrappone una diversa ricostruzione, senza evidenziare una inidoneità della motivazione a giustificare la decisione. In definitiva, nelle censure dedotte non è stato indicato il punto della sentenza in cui la motivazione manca è contraddittoria o non è sufficiente a supportare la sentenza, ma viene contrapposta alla ricostruzione della Corte di Appello una ricostruzione effettuata dal ricorrente, basata su di una diversa valutazione della prova. Tanto è sufficiente per la declaratoria di inammissibilità.

MOBBINGultima modifica: 2008-05-21T15:26:16+02:00da ggiurata
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